In occasione dell'inizio del Giubileo Straordinario della Misericordia proponiamo una riflessione di d. Angelo Ciccarese.

QUALE GIUBILEO?

            Ho avuto l’opportunità di presentare la Bolla di indizione del Giubileo in diverse occasioni.

            Ho ricavato l’impressione che quasi tutte le persone incontrate si sono trovate di fronte a una scoperta, dovuta alla mancata conoscenza del documento e, soprattutto, delle prospettive indicate dal Papa. Si dava solo per scontato che il Giubileo richiedeva di essere vissuto soprattutto mediante le pratiche giubilari: possibile pellegrinaggio a Roma, una buona confessione, la partecipazione all’Eucaristia, la preghiera per il Papa, qualche opera di carità.

            La lettura e la riflessione sulla “Misericordiae Vultus” mi ha dato la convinzione che sono ben altri gli obiettivi proposti e i frutti che si desiderano dal Giubileo della Misericordia. Non si tratta di pie pratiche, ma di attuare quella “rivoluzione della tenerezza” che in questo tempo garantisce il ritorno al Vangelo per i credenti e una proposta di umanità rinnovata per tutti gli uomini. Desidero richiamare solo alcuni tratti, per me, salienti.

            Si tratta prima di tutto di verificare il  volto di Dio in cui crediamo e che presentiamo a livello personale, nelle proposte dei gruppi e nella vita delle nostre comunità. E’ il Dio delle devozioni che automaticamente garantiscono il paradiso? E’ il Dio che fa il ragioniere e spalanca le porte dell’inferno ad ogni minimo errore? E’ il Dio che tramite il dirigismo pastorale programma nei minimi particolari la coscienza e la vita delle persone? E’ il Dio che regola le baruffe pastorali tra le persone e le comunità solo con l’applicazione rigida del Diritto canonico? Occorre riaprire la Scrittura e accorgerci che «… la misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio. E’ veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono»  (MV 6). La misericordia non è solo l’amore del Padre, ma ha preso le sembianze umano-divine di Gesù: «La sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente: le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione»  (MV 8). Questo esercizio di purificazione dell’immagine di Dio è la prima conversione che ci viene richiesta dal Giubileo. Nella familiarità con la Parola di Dio riconosceremo il volto di Colui che di sé ha detto tra l’altro a Mosè: “Il Signore, Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6).

            Il secondo passo riguarda tutti i credenti senza se e senza ma. «Vogliamo vivere questo Anno Giubilare alla luce della parola del Signore: Misericordiosi come il Padre (Lc 6,36)» (MV 13). Sappiamo bene che questa tensione altissima è la vocazione di tutti alla santità nella propria condizione di vita. Ma nelle nostre relazioni non può essere ridotta semplicemente alle pratiche della misericordia, specialmente se fatte in maniera saltuaria. Si tratta di diventare misericordia. E’ una prospettiva di vita in cui abitualmente guardiamo noi stessi, gli altri e il creato con gli occhi e il cuore di Dio. La misericordia da cui siamo stati raggiunti e salvati, diventa la ragione della relazione di misericordia verso i fratelli (cfr Mt 18,22-35). Nel pellegrinaggio interiore proposto dal Papa per diventare “misericordiosi come il Padre” non basta il “non giudicare e il non condannare”. Il fratello che sbaglia, anche pubblicamente, non può essere mai radiato o cancellato; non è mai uno da cui prendere le distanze, abbandonandolo al proprio destino e lasciandolo solo con se stesso. Il Padre buono ricorda al figlio rimasto in casa: “Questo tuo fratello … “ (Lc 15, 32). Non esiste errore o peccato che possa impedire a Dio di esercitare la sua paternità. Così non esiste errore o peccato che autorizzi chiunque a rinunciare alla relazione e responsabilità verso i fratelli che sbagliano. Vale la pena allora di riscoprirci con verità sempre debitori verso Dio e i fratelli: verso Dio per un amore gratuito mai meritato, verso i fratelli per un amore da cui siamo stati guariti da condividere con eguale gratuità.

            Un terzo passo riguarda un compito a casa per le nostre comunità: «Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia» (MV 12). E’ una ricerca che va fatta nei Consigli pastorali, nei Consigli di amministrazione, nei direttivi delle associazioni per accettare questa proposta che ha il sapore della sfida e per attrezzarsi attraverso passi e tappe condivisi per giungere a diventare “oasi di misericordia” che aiutano a incontrare il Padre buono. L’oasi di misericordia, infatti, non serve a far sostare, a far diventare qualcuno “uno dei nostri”, ma ad essere occasione povera e umile di incontro con Colui che è misericordia per tutti. Un pensiero molto bello mi sta accompagnando in questo Avvento: Gesù non ripropone il suo natale come un ricordo nostalgico. Il memoriale significa che Lui conferma sempre la sua scelta di diventare umanità, questa umanità del 2015: sebbene travagliata, spaventata, arrabbiata, carica di odio, questa umanità è la sua umanità. Per questa umanità Egli ripropone il suo stare insieme per amore. Un amore a fondo perduto, perché ogni uomo è amato perdutamente. Se siamo comunità “incarnate”, che ci facciamo carico come Gesù di questo nostro tempo, non possiamo più essere comunità che condannano senza appello. Il Papa ci chiede di essere comunità “umane”, di non avere paura di sentirci addosso “la puzza di queste pecore”. Possiamo incamminarci su questa strada? In che modo?

            In questa prospettiva di incarnazione, a tutti, persone singole e comunità, viene richiesto la pratica delle opere di misericordia corporali e spirituali. Non ci viene chiesto di ripassare una pagina sbiadita del catechismo. E’ il modo per visitare le “periferie esistenziali” della nostra umanità (cfr MV 15). Si tratta prima di tutto di prendere coscienza che il male delle “periferie esistenziali” non è casuale. Il Papa riprende quasi alla lettera ciò che i nostri vescovi avevano denunciato nel documento “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese”. La miseria e la povertà che opprimono l’uomo moderno non sono il frutto del caso: «In questo Anno Santo potremo fare l’esperienza  di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica» (MV 15). Si tratta di fare una analisi critica dei modelli di sviluppo e dei modelli di vita che creano le strutture capaci di impoverire di umanità, prima che di risorse tanti fratelli. E occorre chiamarle con il loro nome. Il Papa lo ha già fatto con coraggio sia nella Evangelii Gaudium sia nella Laudato si’. E’ giunto il momento che lo faccia coralmente tutta la Chiesa.

            Per non fermarci e baloccarci solo nella denunzia, Il Papa chiede che le opere di misericordia diventino il banco di prova, a livello personale, della crescita in misericordia. Se cerchiamo di essere discepoli del Signore Gesù, possiamo e dobbiamo tener presente il modo completo con cui Gesù ha annunciato il Regno di Dio.  I Vangeli ci attestano che l’annuncio del Regno è sempre accompagnato dall’attenzione all’uomo: Gesù ci viene presentato come colui che guariva i malati (le persone che avevano bisogni di salute fisica) e scacciava i demoni (i bisognosi della salute del cuore).  Gesù eguale responsabilità ha affidato ai Dodici quando li ha inviati in missione (cfr Mt 10,7-8). E c’è un’altra ragione decisiva. I poveri, di qualsiasi natura e condizione, sono uno dei luoghi, datoci nel tempo, in cui con assoluta certezza possiamo incontrare il Signore Gesù: «In verità io vi dico: tutto quello che avrete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Forse per questa ragione il Papa, scrivendo a Mons. Fisichella ha detto: «Ogni volta che un fedele vivrà una o più di queste opere in prima persona otterrà certamente l’indulgenza giubilare».

            Ci sono ovviamente altri punti meritevoli di attenzione che rendono questo Giubileo davvero speciale. E’ un Giubileo che vuole lasciare il segno. La posta in gioco è davvero molto alta. Come è alto il rischio che nella abitudinarietà della nostra vita personale ed ecclesiale lo rendiamo banale. Preferisco chiudere queste riflessioni con l’auspicio e lo sguardo pieno di fede di Papa Francesco: «Affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e non credenti, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del regno di Dio già presente in mezzo a noi» (MV 5).

 

                                                                                  Sac. Angelo Ciccarese

 

Link al sito ufficiale per il giubileo

La Bolla di Indizione

Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo

 

 

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